Diritto all’oblio
Di diritto all’oblio o diritto all’essere dimenticati online se ne parla ormai da qualche anno e migliaia di opinioni sono state spese per capire se sia giusto o meno avere la possibilità di richiedere la cancellazione delle proprie tracce dal web.
Il diritto ad essere dimenticati online è la possibilità di cancellare, anche a distanza di anni, dagli archivi online, il materiale che può risultare sconveniente e dannoso per soggetti che sono stati protagonisti in passato di fatti di cronaca
Tratto da Wikipedia
Chi potrebbe avere interesse ad avanzare tale richiesta e perché questo potrebbe sollevare, in alcuni casi, una questione etica?
Siamo spesso portati a pensare che la potenza di internet, la sua principale caratteristica, risieda nella possibilità di eliminare le distanze ed interconnettere i quattro angoli della terra in una manciata di decimi di secondo, e nella capacità di offrire, a chi abbia accesso alla rete, un archivio infinito di informazioni e conoscenza.
Questo è ovviamente corretto, ma non esaustivo.
Ciò che spesso passa in secondo piano, se non del tutto ignorato, è la persistenza di queste informazioni sul web.
La capacità della rete di immagazzinare permanentemente le informazioni è al centro di diversi dibattiti, etici e giuridici, quali la privacy e il trattamento dei dati personali, la proprietà delle pagine social personali e, appunto, del diritto all’oblio.
In molti, anche chi non fa dell’informatica il suo pane quotidiano, avranno sentito la frase: quando cancelli i file dal pc, non li cancelli definitivamente.
In effetti, una volta cestinato un file, resta comunque la possibilità di recuperarlo, fino a quando la sua locazione di memoria non verrà sovrascritta o non si utilizzino specifici software per la cancellazione definitiva.
Questo è possibile perché quel determinato file è presente fisicamente sul nostro computer.
Con l’internet, il discorso è più complesso e spigoloso.
Una volta immesse delle informazioni in rete, esse prendono parte all’immenso e aggrovigliato calderone di dati che compone il database dell’internet.
La criticità sta proprio nella difficoltà nel sapere dove queste informazioni atterrano, chi ne entra in possesso e chi (o cosa) può farne una copia.
Ciò significa che anche dopo la cancellazione di un articolo, una foto o di un account, le informazioni date in pasto alla rete restano comunque nella rete, più o meno visibili tramite i motori di ricerca, più o meno facili da reperire.
“La conoscenza, il passato, la storia di ciascuno, restano permanenti a sfidare il tempo e la materialità: impedendo alle informazioni di scomparire, alla memoria di dissolversi e, mancando il processo catartico del dimenticare, agli individui di “alleggerirsi” del passato.”
Antonello Soro – Presidente dell’autorità Garante per la protezione dei dati personali
Ma chi potrebbe avere interesse a cancellare delle informazioni sul proprio conto presenti online?
Le variabili sono infinite e i casi possono essere i più disparati.
Può esserci la persona intenzionata a nascondere una qualche figura imbarazzante.
C’è inoltre chi semplicemente si ravvede e, preoccupato dalla permanenza di informazioni sensibili, e l’impossibilità di controllarle online, vorrebbe eliminarle.
C’è chi, e questo è il caso che ha sollevato polemiche nei confronti del diritto all’oblio, potrebbe avere interesse nel cancellare dati scomodi, riguardanti illeciti penali o frodi fiscali.
In quest’ultimo caso, cosa è più importante: il diritto della persona a tenere velati i propri trascorsi, o il diritto della società a sapere con chi ha a che fare?
La questione si fa più complessa, se consideriamo quanto sia diffusa ormai l’abitudine di cercare, tramite motori di ricerca online, informazioni sulla reputazione di un determinato individuo.
Ed è proprio qui che nasce la questione etica.
“La storia è un diritto umano e una delle cose peggiori che una persona può fare è tentare di usare la forza per metterne a tacere un’altra. Sto sotto i riflettori da un bel po‘ di tempo. Alcune persone dicono cose buone e alcune persone dicono cose cattive. Questa è storia e non userei mai un procedimento legale come questo per cercare di nascondere la verità”.
Jimmy Wales – Fondatore di Wikipedia
È giusto dunque permettere ad una persona di cancellare un passato scomodo o imbarazzante?
Oggi che i motori di ricerca ,e il web in generale, hanno rimpiazzato quasi del tutto giornali cartacei ed enciclopedie nel loro ruolo di principale fonte di informazione, è corretto concedere la facoltà ad un individuo di nascondere, a chi potrebbe essere interessato, qualcosa di compromettente?
Una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13 maggio 2014 (causa Costeja Gonzalese e AEPD contro Google Spain e Google Inc.) riconosce a ciascun individuo la facoltà di richiedere l’oblio dei dati che lo riguardano.
Una decisione che ha fatto scalpore e che trova una forte contestazione, tra gli altri, di colossi del web come Google e Wikipedia.
“La sentenza della Corte di Giustizia europea sta minando la capacità del mondo di accedere a notizie accurate e verificabili su persone ed eventi. La Corte Ue ha abbandonato la propria responsabilità di proteggere uno dei diritti più importanti e universali: il diritto di cercare, ricevere e diffondere informazioni”
Lila Tretikov – Direttore Esecutivo Wikimedia Foundation
Il motore di ricerca più utilizzato al mondo ha messo a disposizione a questo link il modulo per avanzare la richiesta all’oblio. Sarà Google, tramite le linee guida della Corte di Giustizia Europea, a decidere come e quando procedere.
Al link sopra riportato si può infatti leggere:
“Durante la valutazione della richiesta stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico. Ad esempio, potremmo decidere di non rimuovere determinate informazioni che siano recenti o che riguardino frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali.”
Rimane quindi discrezione del motore di ricerca cosa de-indicizzare e cosa invece lasciare fruibile al pubblico.
Bisogna tener conto che, anche nel caso in cui la richiesta all’oblio venisse accettata, Google nasconderà solo i risultati collegati al nome della persona che ne ha fatto richiesta, ma non i risultati raggiungibili tramite altre chiavi di ricerca. Inoltre, dato che la sentenza si applica (ovviamente) solo all’Europa, per accedere ai dati obliati potrebbe essere sufficiente accedere al portale tramite il dominio .com, data l’impossibilità di estendere la giurisdizione anche a domini non appartenenti all’Unione Europea.
L’azienda di Mountain View ha reso noti i dati delle richieste di oblio in Europa dalla famosa sentenza ad oggi:
A dicembre anche Microsoft, con il suo motore di ricerca Bing, rende possibile inoltre una richiesta all’oblio.
Un lungo e difficile dibattito i susseguirà nei prossimi anni riguardo al diritto all’oblio e le sue implicazioni morali e legali. Da una parte, chi vede nel diritto all’oblio una pratica di pericolosa censura che potrà essere deleteria alla memoria digitale dell’uomo.
Dall’altra parte del fiume, chi vorrebbe concedere ad ogni individuo il pieno controllo della sua storia, anche online, col rischio però di favorire chi voglia nascondere qualcosa di agghiacciante o semplice imbarazzante.